Thyssen: 16 anni e mezzo all’ad per omicidio volontario

Thyssen, dopo la sentenzaOggi(15 aprile), è una giornata storica per i lavoratori. Nonostante alcuni parlamentari “sciacalli” e alcuni imprenditori, la sicurezza sul lavoro è un diritto insindacabile. I vertici dell’azienda sono responsabili della sicurezza dei propri dipendenti.

Tutti hanno atteso con ansia la sentenza sulla tragedia della Thyssenkrupp. Qualcuno si aspettava il solito colpo di mano. Per fortuna giustizia è stata fatta. La Corte di Assise di Torino ha riconosciuto l’omicidio volontario con dolo eventuale per i sette morti del rogo alla Thyssenkrupp.

L'amministratore delegato dell’azienda, Herald Espenhahn, è stato condannato a 16 anni e mezzo di reclusione. Gli altri cinque dirigenti del processo per il rogo alla Thyssenkrupp sono stati condannati per cooperazione in omicidio colposo. La pena è di 13 anni e mezzo per Marco Pucci, Gerald Priegnitz, Raffaele Salerno e Cosimo Cafueri. Daniele Moroni è stato condannato a 10 anni e dieci mesi di reclusione.

La Thyssenkrupp è stata condannata con un milione di euro di sanzione pecuniaria, l’esclusione da contributi e sovvenzioni pubbliche per sei mesi e il divieto di farsi pubblicità per sei mesi. La sentenza dovrà essere pubblicata su una serie di quotidiani e affissa nel Comune di Terni, dove c’é la principale sede italiana del gruppo.

Per quanto riguarda le parti civili, la corte ha riconosciuto un risarcimento di un milione di euro al Comune di Torino, di 973.300 alla Regione Piemonte, di 500 mila euro alla Provincia di Torino e di 100 mila euro ciascuno ai sindacati Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uim-Uilm, Flm-Cub. Cento mila euro di risarcimento anche all'associazione Medicina Democratica.

Antonio Boccuzzi, unico sopravvissuto al rogo della Thyssemnkrupp, è scoppiato a piangere. Il deputato del PD ha dichiarato “Dedico questa sentenza a tutti i morti di quella notte a chi ha perso la vita sul posto di lavoro e a mia madre che è scomparsa da poco. È stata fatta giustizia anche se, fino alla lettura della sentenza, avevamo paura che succedesse qualcosa di diverso. È un risarcimento morale importante e dovuto a tutti i familiari Era un’esigenza che avevamo tutti e non è una forma di vendetta. Chi ha sbagliato, ha pagato”.

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