Lavorare per 750 euro al mese? No, grazie

Lavorare per 750 euro al mese? No, grazie. Il video denuncia di una giovane ingegnera è divetanto virale su TikTok. Stipendi da fame in Italia.

Lo sfogo di Ornela Casassa

Lavorare per 750 euro al mese? No, grazie. Sta facendo molto discutere il video denuncia dell’ingegnera ligure Ornela Casassa diventato virale su TikTok. La donna 28enne ha lasciato Chiavari per trasferirsi a Genova dove ha studiato e dove ha iniziato anche a lavorare con uno stage al termine del percorso di laurea. Dopo 6 mesi di sfruttamento a 600 euro al mese, dalla stessa azienda arriva l’offerta di lavoro “vera”: 900 euro a partita IVA. Vale a dire 750 euro netti al mese.

Una cifra ridicola nell’Italia di oggi, inferiore al Reddito di cittadinanza. E il problema non è il Reddito di cittadinanza. La proposta di lavoro è stata rifiutata. Nel video l’ingegnere Casassa dice: “Ma io devo vivere con 750 euro? Ma io non mi ci pago l’affitto, io non ci vivo. Bisogna smette di abbassare l’asticella nel lavoro”. Stare impegnato per ritrovarsi alla fine del mese senza un euro in tasca non è lavoro, ma schiavismo. Il mercato del lavoro in Italia è sempre più precario, fatto di stipendi inadeguati e contratti inesistenti. L’ingegnere Casassa aggiunge: “E’ un no che mi sono potuta permettere. I miei genitori mi avrebbero rimesso un tetto sulla testa, se avessi perso l’affitto. Molti invece avrebbero dovuto accettare: se non ci fossero stati i miei, se avessi avuto un figlio, neanche io avrei detto no. Chi può permetterselo deve dire no, dobbiamo cominciare noi a costruire una diga”. Questo è il problema. I tirapiedi degli imprenditori (ovvero i politici) vogliono ridurre in disperazione la gente per costringerli ad accettare qualsiasi offerta ridicola. Lavorare è un cosa diversa da finire in pasto a schiavisti e prenditori. Un lavoro deve dare dignità, soprattutto economica. Siamo arrivati al punto che finisce in povertà pure chi ha un lavoro. In Italia la maggioranza dei datori di lavoro vanno al ribasso con paghe da fame perché c’è la convinzione che offrire un lavoro sia un favore.

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