Stati Uniti attaccano Iran
Nella notte tra il 21 e il 22 giugno, gli Stati Uniti hanno lanciato un attacco aereo contro tre siti nucleari dell’Iran: Fordow, Natanz e Isfahan. L’operazione, condotta da bombardieri stealth B-2, è avvenuta con bombe bunker buster progettate per colpire strutture sotterranee protette. Secondo fonti ufficiali americane, l’attacco mirava a distruggere le infrastrutture di arricchimento dell’uranio, in un’azione definita dal presidente Donald Trump come “un grande successo”.
Il raid degli USA è avvenuto in coordinamento con Israele, nel contesto di un’escalation di tensioni già altissime tra lo Stato ebraico e la Repubblica Islamica. In risposta immediata, l’Iran ha lanciato decine di missili balistici verso Israele, colpendo le città di Gerusalemme, Tel Aviv e Haifa. Le autorità iraniane hanno dichiarato che “la guerra è iniziata”, mentre assicurano che non ci sono state fuoriuscite radioattive dai siti nucleari colpiti. La comunità internazionale ha reagito con grande preoccupazione. Le Nazioni Unite e l’Unione Europea hanno convocato riunioni d’urgenza per discutere gli sviluppi e invitare le parti alla moderazione, temendo un allargamento del conflitto a livello regionale.
Si teme rialzo del petrolio
Le ripercussioni economiche non si sono fatte attendere. I mercati internazionali hanno registrato un’impennata dei prezzi del petrolio, a causa del timore che l’Iran possa bloccare il traffico marittimo nello Stretto di Hormuz, uno snodo vitale per il commercio energetico mondiale. Gli analisti avvertono che, in un momento di già forte incertezza economica, un conflitto prolungato potrebbe avere effetti devastanti sull’economia globale. La situazione rimane fluida e pericolosa. Una de-escalation potrebbe contenere i danni economici e umanitari, ma al momento lo spettro di una guerra resta concreto.
Commenti
Posta un commento