Il nuovo programma di Santoro si chiamerà Servizio pubblico

Michele SantoroMancano 10 giorni alla prima puntata del nuovo programma di Michele Santoro. Questa mattina(24 ottobre) il conduttore di “AnnoZero” è intervenuto nella trasmissione “24 Mattino” di Radio 24. Santoro ha confermato che la trasmissione non si intitolerà più “Comizi d’amore”, ma si chiamerà “Servizio pubblico”.

Il giornalista ha precisato “Servizio pubblico sta avendo un grandissimo successo, ma l’intenzione di fare un omaggio a Pasolini rimane e quindi qualcosa faremo”. Servizio pubblico partirà giovedì 3 novembre. La trasmissione potrà essere seguita sui siti de “Il Fatto Quotidiano”, “Il Corriere Della Sera” e “La Repubblica” e in varie TV private locali. La raccolta fondi lanciata sul sito www.serviziopubblico.it ha toccato quota 70 mila sottoscrizioni.

Santoro ha parlato anche della TV in Italia, a cominciare dalla Rai. Il conduttore ha detto “Dirmi che non mi rivedrete più in Rai mi sembra una maledizione. Ciò che stiamo facendo è anche un atto d’amore nei confronti del servizio pubblico. L’ho detto e lo confermo, io sono della Rai ma non potevo continuare a lavorare contro la volontà del mio editore. Io non solo dovevo lavorare e fare profitti ma poi dovevo difendermi coi miei soldi dalle aggressioni che l’azienda mi faceva, usando i soldi che noi stessi avevamo portato nelle loro casse. Un paradosso insopportabile. Era uno stress psicologico enorme”.

Santoro ha parlato anche del mancato accordo con La 7. Il giornalista ha dichiarato “Con La 7 al momento dell’accordo è venuta fuori una richiesta di poter sottoporre ogni nostra azione della trasmissione a verifiche del loro ufficio legale. Questo in violazione dei contratti che tutelano l’autonomia dei giornalisti”. Santoro ha una sua ricetta per far tornare libera l’informazione in Italia. Il giornalista ha detto “Solo in Italia si considera la politica arbitro dell’informazione. La prima cosa da fare per rendere l’Italia un Paese normale è allontanare i politici dall’informazione. Finché noi giornalisti non ci indigneremo per questo vuol dire che saremo in una condizione di semilibertà”.

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