La censura preventiva di Facebook

Facebook è diventato il monopolista dell'informazione sul web. Non è un bene. Ci sono pensieri e post condivisi che vengono oscurati perché lo decide un algoritmo. Diversi casi segnalati nelle ultime settimane.

Censura FacebookIn Italia la libertà sul web è ormai un vecchio ricordo. Dopo tante battaglie, i potenti sono riusciti a limitare il libero pensiero sulla rete e ad avere un controllo preventivo. La colpa è anche nostra. Il motivo? Abbiamo consegnato a Facebook il monopolio dell’informazione. Ormai tutti, dal giornalista al blogger, condividono articoli e post sul noto social network per avere visibilità. Tutto andava bene finché non è girata la fakenews sul presunto problema delle “bufale” in rete.

In Italia Laura Boldrini ha lanciato la campagna “#BastaBufale” per dare a tutti il diritto a una corretta informazione. La presidente della Camera non ha capito che la comunicazione su internet è bidirezionale, non unidirezionale come avviene in TV. A differenza dei media televisivi, infatti, le bufale sul web possono essere facilmente smascherate. Senza le bufale non esisterebbe Paolo Attivissimo, uno dei primi firmatari del documento ideato dalla Boldrini. Come è andata a finire? Il #BastaBufale si è trasformato in una censura preventiva, che colpisce soprattutto chi non è un personaggio noto. Da alcune settimane Facebook considera “spam” ogni link pubblicato in un post o in un commento e blocca il profilo di chi l’ha condiviso. Nella migliore delle ipotesi basta riconoscere dei commenti fatti in passato e cambiare password per “riavere” il profilo. Nella peggiore delle ipotesi c’è una sospensione che varia tra i sette e i 30 giorni. Siamo ritornati a scuola?

Il controllo dell’informazione non può essere gestito da un algoritmo

Facebook non affida a persone il controllo delle notizie pubblicate sul social network, ma gestisce tutto un algoritmo che riconosce le parole ma non il contesto, e così arriva al paradosso di punire chi riporta opinioni altrui che sono contrarie alle regole, ma non chi le ha espresse per primo. Il tutto è gestito in maniera del tutto casuale e senza alcuna possibilità di appello. Ci sono pensieri che vengono oscurati, con relativo e lungo ban dell’autore, perché lo decide un sistema virtuale. L’algoritmo censorio di Facebook “registra” i presunti post non idonei alle regole e li cancella all’infinito ed in automatico anche senza segnalazione. Sembra quasi la realizzazione del Ministero della Verità descritto da George Orwell nel romanzo “1984”. Si sono creati gli estremi per una limitazione della libertà di informazione. Con la scusa delle “bufale” hanno messo il bavaglio alla rete e a chi non si allinea al “sistema” del politically correct. La libertà di espressione è un bene primario, che Facebook non persegue e tutela. Più che regolamentare il web, basterebbe costringere Mark Zuckerberg e company ad assumere personale per controllare la “qualità” delle censure fatte dall’algoritmo. La società ha raggiunto i 10,3 miliardi di fatturato nel terzo trimestre 2017, quindi può permettersi di dare un lavoro a qualche “controllore” per rendere un servizio migliore agli utenti.

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