Divario Nord-Sud

Il divario tra il Nord e il Sud Italia è un fenomeno storico che ha radici profonde e complesse. Il rapporto Svimez 2022 conferma la fuga dei giovani.

Un disoccupatoIl divario tra il Nord e il Sud Italia è un fenomeno storico che ha radici profonde e complesse. Negli ultimi decenni, il divario tra le due parti del paese è cresciuto sempre di più, con il Sud che soffre di una grave crisi economica e sociale, mentre il Nord continua a prosperare. Nel Sud Italia vive un terzo della popolazione italiana ma viene prodotto poco più di un quinto del PIL. Dalle regioni meridionali si origina appena un decimo delle esportazioni nazionali.

La principale causa del divario è la mancanza di investimenti e di sviluppo economico nelle regioni del Sud. Questo ha portato a una scarsa crescita del PIL, a un elevato tasso di disoccupazione e a un elevato livello di povertà. Il Sud soffre anche di una grave carenza di infrastrutture, sia in termini di trasporti che di servizi pubblici. Un altro fattore che contribuisce al divario tra il Nord e il Sud è la mancanza di opportunità di lavoro e di formazione per i giovani delle regioni meridionali. Molti giovani del Sud sono costretti a lasciare la propria regione per cercare lavoro altrove, contribuendo così all’emigrazione e all’abbandono della propria terra. Per ridurre il divario tra il Nord e il Sud, è necessario che lo Stato e le istituzioni intervengano con politiche economiche e sociali mirate. È importante che il Sud riceva maggiori investimenti in infrastrutture e in settori strategici, come l’agricoltura e il turismo, e che vengano create opportunità di lavoro e di formazione per i giovani. Solo in questo modo sarà possibile ridurre il divario tra le due parti del paese e garantire un futuro migliore per tutti.

Rapporto Svimez 2022

Nel 2022, l’Italia dovrebbe continuare a crescere più della media UE-27(+3,8% contro 3,3%), ma si dovrebbe riaprire la forbice di crescita tra Nord(+4%) e Sud(+2,9%). E’ quello che emerge dal rapporto Svimez 2022. A differenza delle passate crisi, il Mezzogiorno ha partecipato alla ripartenza con il contributo delle misure di sostegno ai redditi delle famiglie, che hanno favorito la ripresa dei consumi, e dell’intonazione espansiva della politica di bilancio. Il Sud si stacca dal resto del Paese nel biennio 2023-2024. A fine periodo, il PIL meridionale dovrebbe rimanere ancora 9,4 punti al di sotto dei livelli del 2007(+1,6 punti percentuali il Centro-Nord). Nel 2023 il PIL dell’Italia dovrebbe crescere dello 0,5%, un dato portato in terreno positivo dal Centro-Nord(+0,8%), mentre il Sud entrerebbe in recessione(-0,4%). Nel 2024, il ritmo di crescita dovrebbe accelerare a livello Paese(+1,5%), per effetto di una ripartenza più sostenuta nel Centro-Nord(+1,7%). Il differenziale di crescita sfavorevole al Sud sarebbe di 0,8 punti percentuali.

Il picco dell’inflazione nel 2022 interessa in maniera più marcata il Sud. Anche il rientro dal picco del 2022 dovrebbe essere più lento nel Mezzogiorno. Questa dinamica determina impatti più pronunciati sui consumi delle famiglie e potenziali rischi operativi più concreti per le imprese del Mezzogiorno. L’inflazione colpisce la spesa per abitazione, acqua, elettricità e spesa(+34,9%) e beni alimentari(+8,9%). Nel complesso, i rincari riguardano tipologie di spesa incomprimibili che gravano di più sui nuclei familiari a basso reddito concentrati nel Sud. La Svimez stima 287.662 potenziali nuove famiglie povere, identificate tra quelle che nel 2021 avevano una probabilità di passare sotto la soglia di povertà assoluta superiore al 50%. Sarebbero 764.591 gli individui in più a rischio povertà assoluta, di cui circa mezzo milione di poveri al Sud. A pesare relativamente di più, nel Sud Italia, sono le famiglie numerose(>3 componenti), per le quali la spesa media familiare è comparativamente inferiore rispetto ai nuclei più piccoli.

Ruolo fondamentale del Reddito di cittadinanza

Tante famiglie sono state salvate dal Reddito di cittadinanza, la misura introdotta dal governo Conte I. Senza questi interventi le famiglie povere sarebbero state quasi 2,5 milioni, quasi 450 mila in più rispetto al 2020(poco più di 2 milioni), cui corrispondono oltre un milione di persone in meno in condizione di povertà assoluta, di cui due terzi circa nel Sud. Si conferma invece la scarsa capacità del Reddito di cittadinanza nel favorire il reinserimento nel mercato del lavoro, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. Nel 2021, solo il 43% degli occupati ha sottoscritto il Patto per il Lavoro(il 50% al Nord e il 40% al Sud) e di questi meno della metà ha ricevuto un’offerta di lavoro. Nel Sud, per carenza di offerte di lavoro e per le inefficienze dei servizi per l’impiego si può stimare che su una platea di circa mezzo milione di occupabili, circa 1 su 5 ha ricevuto un’offerta di lavoro.

Avere un lavoro spesso non protegge dal rischio povertà

Dalla crisi del 2008, il progressivo peggioramento della qualità del lavoro, con la diffusione di lavori precari ha portato a una forte crescita dei lavoratori a basso reddito(working poor), a rischio povertà. Ha assunto valori patologici in Italia e specialmente nel Mezzogiorno il part-time involontario. In Italia, avere un lavoro spesso non protegge dal rischio povertà. L’ampliamento della povertà nel Mezzogiorno coinvolge anche le famiglie con persona di riferimento occupata. Le famiglie con un occupato in povertà in Italia sono 877 mila di cui circa 280 mila nel Sud. Nel caso degli operai la quota di famiglie in povertà sale al 13,6% al Sud(era il 12,7 nel 2020) e al 13,8% nel Nord. La soluzione non è deportare i meridionali nel Nord Italia. Negli ultimi 20 anni circa 1,2 milioni di giovani ha lasciato il Mezzogiorno. 1 su 4 è laureato. Nel solo 2020 67 mila giovani sono andati via e la quota di laureati è salita al 40%. Nel periodo 2002-2020, la perdita netta di giovani è stata di 770 mila unità, quella di laureati di circa 250 mila unità.

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