Confesercenti: Persi 60 miliardi di consumi

Dal 2011 il mercato interno italiano ha perso circa 60 miliardi di euro di spesa. Lo sostiene Confesercenti nel rapporto “2011-2020, l’Italia che non cresce”. Calano i negozi fisici e aumentano le imprese attive nell’ecommerce.

Spesa degli italianiI consumi delle famiglie italiane sono ancora lontani dal livello pre-crisi. Dal 2011 il mercato interno italiano ha perso circa 60 miliardi di euro di spesa. Lo sostiene Confesercenti nel rapporto “2011-2020, l’Italia che non cresce”. Nel 2018, la spesa media annua delle famiglie al netto dell’inflazione è stata di 28.251 euro, in calo di 2.530 euro(-8,2%) rispetto ai livelli del 2011. Una cifra superiore ad un mese intero di acquisti da parte di una famiglia media e anche alla perdita effettiva di reddito(-1.990 euro) registrata nello stesso periodo.

Nell’intero panorama nazionale solo le famiglie della Basilicata hanno fatto circa 500 euro di spesa media annuale in più rispetto al 2011. Le restanti 19 regioni hanno registrato cali, in 10 casi superiori ai 3.000 euro a famiglia, in termini reali. In Italia si risparmia su tutto, tranne su istruzione e sanità. La spending review delle famiglie ha colpito soprattutto le spese per l’abitazione, -1.100 euro circa all’anno rispetto al 2011. Tagli importanti anche su abbigliamento(-280 euro), ricreazione e spettacoli(-182 euro), comunicazioni(-164 euro), alimentari(-322 euro). Crescono invece le spese per la sanità (+12,1%) e l’istruzione(+24,7%). I consumi sono responsabili del 60% del valore aggiunto. Se la spesa degli italiani si ferma, si ferma anche il PIL del Paese.

La crisi del commercio

Il calo dei consumi ha avuto un impatto molto forte sul commercio. Tra crisi, boom dell’ecommerce e improvvisa “deregulation forzata” il commercio italiano negli ultimi 8 anni ha registrato la perdita di più di 32 mila negozi in sede fissa. È il saldo tra le aperture e le tante, troppe chiusure di imprese che proseguono a ritmi impressionanti: ancora nel 2018 hanno chiuso 153 negozi al giorno. A pagare più di tutti è l’abbigliamento, che lascia sul campo oltre 13 mila saracinesche abbassate: la moda non pare più essere nel DNA degli italiani. Ma pesanti perdite si registrano anche per le librerie(-628), le edicole(-3.083), i ferramenta(-4.115) e anche per i negozi di giocattoli(-1.034). Un fenomeno evidente tra i negozi alimentari: dal 2011 ad oggi spariscono oltre 3000 macellerie, ed una lieve flessione si registra anche per i prodotti da forno ed i dolciumi(-47). Anche tra chi resiste, però, non è facile. Il tasso di sopravvivenza delle imprese del commercio, infatti, è via via peggiorato nel tempo. Oggi, delle imprese nate 3 anni fa, ne sopravvive solo il 49%.

Il boom dell’ecommerce

Le imprese attive nell’ecommerce(commercio via internet), negli ultimi anni, hanno vissuto un autentico boom. Secondo i dati di Confesercenti, nel 2018 sono 22.287, il 119,8% in più rispetto al 2011. Si diffondono a una velocità 12 volte superiore a quella dei nuovi ristoranti, 8 volte superiore a quella di nuove strutture per l’Alloggio. 20 volte superiore a quella di nuovi negozi alimentari. E ogni 3 negozi specializzati che chiudono, nasce una nuova attività sul web. Gli imprenditori che si dedicano alla vendita via web sono anche più giovani della media. La caratteristica più rilevante del commercio via internet è infatti proprio l’età degli imprenditori, di quasi 10 anni inferiore alla media del commercio al dettaglio(39,7 anni contro 48,2), tanto che la quota di imprenditori con meno di 35 anni è il 28,4%(nel commercio al dettaglio è 14,9%), così come più alta è la quota per gli under 50. Rispetto al complesso del commercio al dettaglio, i mercanti digitali sono anche più spesso italiani(91,6% contro l’83,6% medio del settore) e uomini (69,6% contro 60,7%).

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