Flat tax impone spending review

La flat tax di Salvini costa tra i 12 e i 15 miliardi di euro, soldi che verranno trovati con la spending review. Peccato che c'è da disinnescare la clausola di salvaguardia entro il 31 dicembre 2019. L'aumento dell'IVA sarebbe la mazzata definitiva per l'economia dell'Italia.

Flat taxIn Italia si torna a parlare di flat tax, il sistema fiscale proporzionale e non progressivo basato su un’aliquota a percentuale fissa. Fu ideata per la prima volta nel 1956 dall’economista statunitense Milton Friedman. La flat tax è stato il cavallo di battaglia di Matteo Salvini e Silvio Berlusconi nella campagna elettorale del 2018. Il leghista proponeva un’aliquota fissa al 15%, mentre l’ex premier una al 23%. La prima valeva 95 miliardi di euro di spending review, mentre quella dell’ex premier costava 57 miliardi di euro. Una cosa improponibile nell’Italia di oggi.

La Lega ora insiste per una flat tax con aliquota al 15% per i redditi familiari fino a 50 mila euro. Il costo stimato è fra i 12 e i 15 miliardi di euro. L’introduzione della flat tax sarebbe accompagnato da una revisione di detrazioni e deduzioni e dall’abolizione del bonus IRPEF(noto come bonus 80 euro) introdotto dal governo Renzi nel 2014. Per far entrare in vigore l’aliquota a percentuale fissa sulle tasse bisogna tagliare le spese dello Stato, in poche parole bisogna fare la spending review. Dove trovano le risorse? Non ci vuole un genio per capire che i 12-15 miliardi li troveranno facendo l’ennesimo taglio nella Sanità. L’anno scorso, in una puntata di “Coffee Break”, Stefano Parisi disse che le risorse sarebbero arrivate introducendo la Sanità a pagamento per i redditi più alti.

In poche parole verrebbe introdotto l’apartheid nella Sanità: i ricchi si faranno curare in modo efficienza grazie alle assicurazioni private, mentre i poveri riceveranno un’assistenza minimale peggiore rispetto a quello di oggi. La flat tax è una misura che servirebbe solo a far crescere le diseguaglianze in Italia. L’art.53 della Costituzione prevede che il sistema tributario sia uniformato da criteri di progressività della tassazione, con la capacità contributiva del cittadino. Una sorta di flat tax è stata introdotta in Italia nel 2017 dal governo Gentiloni per i ricchi stranieri, mentre la manovra 2019 ha esteso il regime forfettario al 15% a tutte le partite IVA fino a 65 mila euro di reddito. Quest’ultima misura ha favorito la crescita degli indipendenti(+30 mila) lo scorso febbraio. Il motivo è ovvio: un imprenditore ha tutto l’interesse affinché un proprio dipendente apra la partita IVA per avere un costo del lavoro inferiore.

23 miliardi per non far aumentare l’IVA

Il governo dovrà trovare 23 miliardi di euro entro il 31 dicembre 2019 per disinnescare la clausola di salvaguardia. Introdotta per la prima volta dal governo Berlusconi nella manovra di luglio del 2011 con il decreto legge 98, la clausola di salvaguardia è la norma che prevede l’aumento automatico dell’IVA nel caso lo Stato non riesca a reperire le risorse pianificate. Nel 2012 la cifra da reperire era di 20 miliardi, ora siamo arrivati a 23 miliardi di euro per “colpa” anche della mancata crescita economia. Il disinnesco della clausola di salvaguardia serve per evitare l’aumento dell’IVA agevolata dal 10% al 11,5% e dell’IVA ordinaria dal 22% al 24,2%. L’aumento dell’IVA sarebbe un colpo quasi mortale per l’economia dell’Italia. “Per evitare l’aumento dell’IVA, il governo punterà su spending review e tax expenditures”. E’ quello che ha dichiarato il premier Conte a margine della festa della Polizia. La spending review è già un salasso per disinnescare la clausola di salvaguardia, figuriamoci se deve servire anche per finanziare la flat tax di Salvini.

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